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Giovedì, 06 Febbraio 2020 11:41

Startup, dopo un brutto 2019 ecco le speranze del nuovo anno


Il 2019 è stato un anno di annunci senza seguito. Dodici mesi di fumo, di protagonismi senza protagonisti e senza fatti, di parole vuote, ma almeno con il lato positivo di accresciuta attenzione verso le startup e il venture investing e chiuso con l’inno al coraggio finale del Presidente Sergio Mattarella

L'anno che si è appena chiuso, per l’ecosistema italiano delle startup e del venture investing è stato un anno di illusioni, attese e disillusioni. È trascorso tra annunci, da parte della politica, che sembravano il segnale di un punto di svolta per chi si ostina a credere nel potenziale del paese. E si è concluso sempre tra gli annunci ma stringendo quasi un pugno di mosche, con la sola soddisfazione di un segnale forte all’ultimissimo minuto: il discorso di fine anno agli italiani del Presidente della Repubblica.

Startup, un 2019 di illusioni, assalti alla diligenza e colpi di scena
Il 2019 è iniziato con la grande illusione della manovra di bilancio, che aveva confortato tutta la comunità degli innovatori: creazione del Fondo Nazionale Innovazione (FNI) con un miliardo (e più) di dotazione dato dall’allocazione del 15% dei dividendi delle partecipate di Stato, il credito d’imposta per gli investimenti in startup innovative innalzato al 40%, una percentuale dei PIR (i Piani Individuali di Risparmio) veicolata sul venture capital. Sembrava davvero un punto di svolta favorito da una volontà ferrea, incassato nonostante i tentativi di sabotaggio e le resistenze di un pezzo di paese che osteggia il venture investing in parte per interessi contrapposti e in parte per incompetenza e incapacità di visione prospettica, abituato a spartire e mai ad accrescere.

Dalla manovra di bilancio, passando per le dimissioni di Stefano Firpo dal MiSE (condite da molti gossip sui retroscena), si arriva alla passerella di marzo a Torino dove Fabrizio Palermo annuncia per imminente l’avvio dell’operatività di FNI. Quello che non viene annunciato, però, è che quanto preesisteva viene imprudentemente messo nel congelatore: prevedendo di far convergere le attività, CDP non rinnova la dotazione per il fondo di fondi a Fondo Italiano di Investimento, e il MiSE comunica a Invitalia Ventures di bloccare ogni nuovo investimento. Questo ha fatto sì che i VC che stavano lavorando sui nuovi fondi si trovassero senza l’apporto di FII che storicamente era sempre stato anchor investor per i fondi italiani, e che le startup che stavano negoziando con Invitalia Ventures non ricevessero gli investimenti su cui contavano. In un colpo solo, un buco nell’offerta di capitali di rischio nel paese grave ed irresponsabile.

Si arriva a maggio, dove l’aggiustamento di bilancio fa scattare l’assalto alla diligenza. I dividendi del 15% delle partecipate di Stato da destinarsi al Venture Capital diventano “fino al 10%”, dove il quanto sia questo “fino al” non si capisce chi dovrebbe determinarlo, in che momenti e con quali strumenti. Di fatto, siccome un “può” non significa “deve”, quei soldi vengono ripresi dalla politica per destinarli altrove.

Nel frattempo, Assogestioni , che raggruppa gli operatori finanziari che gestiscono il risparmio, si mette a fare la guerra all’obbligo di stanziamento in Venture Capital di una quota dei PIR, prima congelando la raccolta di questi strumenti e poi incassando la correzione della norma adducendo una serie di motivazioni che sarebbero facilmente superabili, semplicemente con del dialogo tra le parti in causa. Ma se Assogestioni è ben presente sui tavoli, è invece assente AIFI, l’associazione dei gestori dei fondi di Private Equity, ossia il soggetto che secondo molti avrebbe dovuto cercare e potuto trovare un punto di incontro con Assogestioni. Questo strabismo e scarsa cura verso una parte della propria base associativa finisce con il costare ad AIFI lo scisma: gli operatori di Venture Capital associati formalizzano la trasformazione di un loro comitato informale in una vera associazione, facendo nascere VC Hub e consumando la frattura con quella che diventa la loro ex organizzazione di rappresentanza.

D’altra parte si può dire che la nascita di una associazione specifica di operatori di VC non legata a quelli del Private Equity fosse una evoluzione ineludibile del mercato ed un buon segnale di maturazione culturale del paese, essendo un mestiere completamente differente che solo gli operatori di Private Equity ritengono essere un sottocapitolo della propria attività.