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Mercoledì, 14 Aprile 2021 09:00

Il Consiglio di Stato “blocca” le startup italiane, serve legge urgente per rimediare


Il Consiglio di Stato ha annullato il decreto che consente alle startup innovative di costituirsi tramite atto sottoscritto digitalmente ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale, quale forma alternativa all’atto pubblico tramite notaio. Vediamo le conseguenze, gravissime, e possibili soluzioni

Sulle startup un ritorno al passato. La sentenza del Consiglio di Stato del 29.3.2021 n. 2643 ha annullato il decreto del Ministero dello Sviluppo economico che permetteva la costituzione online, senza notaio. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del Consiglio Nazionale del Notariato, che era stato respinto invece dalla decisione del TAR Lazio del 2017.

Annullata così anche la disciplina regolamentare che consente alle startup innovative di costituirsi tramite atto sottoscritto digitalmente ai sensi del Codice dell’amministrazione digitale, quale forma alternativa all’atto pubblico tramite notaio.

In questo articolo, ricostruito sinteticamente il contesto normativo di riferimento e il percorso giudiziario conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato, cercheremo di comprendere quali siano i prossimi passi che attendono il Legislatore (in particolare evidenziando perché, a questo punto, occorre un intervento di rango legislativo e non una semplice “riedizione” del Decreto Ministeriale annullato).

Il contesto normativo

Con l’art. 4 del D.L. 3/2015 (conv. in L. 33/2015) è stato previsto, al co. 10-bische “al solo fine di favorire l’avvio di attività imprenditoriale e con l’obiettivo di garantire una più uniforme applicazione delle disposizioni in materia di start-up innovative e di incubatori certificati, l’atto costitutivo e le successive modificazioni di start-up innovative sono redatti per atto pubblico ovvero per atto sottoscritto con le modalità previste dall’articolo 24 del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82”.

La norma stabiliva anche che “L’atto costitutivo e le successive modificazioni sono redatti secondo un modello uniforme  adottato  con decreto del Ministro dello sviluppo economico  e  sono  trasmessi  al competente ufficio del registro delle imprese di cui  all’articolo  8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni”.

Il Mi.S.E., al livello di disciplina secondaria (regolamentare) ha quindi adottato il D.M. 17.2.2016 (“Modalità di redazione degli atti costitutivi di società a responsabilità limitata start-up innovative”).

In estrema sintesi, nelle intenzioni del Legislatore (come anche riconfermate in una successiva Circolare ministeriale) era stato consentito alle startup innovative la possibilità di avvalersi, in alternativa alla “tradizionale” costituzione tramite atto pubblico notarile, della modalità “digitale”. Il perfezionamento dell’iter costitutivo della s.r.l. , con iscrizione nella sezione speciale, prevedeva, secondo quanto anche disposto dal D.M. 17.2.2016, che ogni “controllo” fosse attribuito agli Uffici del registro.

Carabetta (M5S): “Farò interrogazione urgente”

Luca Carabetta, che coordina l’innovazione presso il M5S, ha espresso sconcerto per questa decisione.

“Depositerò immediatamente un’interrogazione al ministero dello Sviluppo Economico per chiedere conto delle attività che intende portare avanti per tutelare i nuovi imprenditori”.

“La norma, concepita per alleggerire le procedure di avvio di una startup, ha sempre avuto supporto politico bipartisan e va incontro ai principi di semplificazione e digitalizzazione richiesti anche recentemente a livello comunitario con la proposta degli Startup Nations Standard, al fine di rendere il nostro Paese più competitivo e più ospitale per le nuove imprese tecnologiche. Rispettiamo la pronuncia della giustizia amministrativa, ma faremo di tutto per mettere il nostro Paese al passo con le migliori pratiche europee e semplificare la vita a chi vuole intraprendere e innovare”.

Come ricorda EconomyUp, ci sono 12.000 startup in Italia, che danno lavoro ad oltre 70 mila giovani e producono ricavi per oltre 1,4 miliardi di euro.

L’impugnativa del Consiglio Nazionale del Notariato

Tale assetto è stato contestato dal Notariato.

Sempre in sintesi, le critiche mosse dal C.N.N. si sono appuntate su alcuni profili, tra i quali:

  1. a) la circostanza che il D.M. 17.2.2016 avrebbe tradito il principio, previsto dal D.L. 3/2015, di alternatività tra costituzione per atto pubblico e costituzione tramite atto sottoscritto ex art. 24 C.A.D..
  2. b) in radice, l’illegittimità del meccanismo costitutivo previsto dal D.M. 17.2.2016, nella parte in cui risulterebbe violata la disciplina dei poteri di controllo spettanti agli Uffici del registro, per contrasto con la Direttiva 2009/101/CE  (art. 11) e della Direttiva 2017/1132/UE (art. 10), dell’art. 8 della L. n. 580/93 e dell’art. 11 del D.P.R. n. 581/95.

Oltre a ciò, il Notariato contestava anche diversi aspetti “di dettaglio” (tra i quali il transito dalla sezione speciale alla sezione ordinaria del Registro delle imprese nonché in punto di corretta implementazione della normativa antiriciclaggio ed agli obblighi fiscali relativi alla registrazione degli atti).

La sentenza TAR Lazio n. 1004/2017

Nel primo grado di giudizio il TAR Lazio, sui due profili “principali”, nel rigettare il ricorso del C.N.N., era pervenuto alla conclusione che:

  1. a) il D.M. non aveva travalicato la norma primaria (l’art. 4, co. 10-bis del D.L. 3/2015), disciplinando la costituzione “semplificata” delle startup innovative come mera opzione alternativa, ossia senza “eliminare” la via “ordinaria” dell’atto pubblico;
  2. b) i poteri spettanti al Registro delle imprese fossero idonei ad assicurare il controllo sostanziale – e non solo “formale” – in sede di costituzione della società, ritenendo sufficiente la copertura normativa di cui al D.P.R. 581/1995 che demanda all’Ufficio, prima dell’iscrizione, l’accertamento delle necessarie condizioni di legittimità e regolarità.

Quanto agli altri profili, il TAR aveva annullato parzialmente il D.M. nella parte in cui consentiva il passaggio “automatico” alla sezione ordinaria per le società costituite ex art. 24 C.A.D. e, invece, ritenuto inammissibili le ulteriori censure del Notariato.

La sentenza del Consiglio di Stato del 29.3.2021, n. 2643

Il Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione del TAR.

In primo luogo, il Giudice di appello ha sposato la tesi secondo cui il D.M. avrebbe “abrogato” la possibilità di costituire le startup innovative anche per atto pubblico, imponendo la costituzione con atto sottoscritto ex art. 24 C.A.D. come “unica via”.

Inoltre – ed è qui il passaggio più rilevante della decisione – la sentenza ha anche accolto  le censure relative alla insufficiente “competenza” degli Uffici del registro in termini di controlli “sostanziali” nonché – profilo collegato – alla non idoneità del D.M. (fonte di livello secondario, rispetto alla Legge) a conferire tali poteri all’Ufficio del registro.

In estrema sintesi è stata accolta la tesi secondo cui il controllo preventivo degli Uffici del Registro (in base alla disciplina di cui a L. 580/1993 e D.P.R.  581/1995) sarebbe non in linea con le Direttive CE 2009/101 e  UE 2017/1132.

I controlli dell’Ufficio del Registro, secondo il Consiglio Stato, a legislazione e regolamentazione vigente, sono insufficienti (non sostanziali ma “formali”) e, quindi, non compliant con le direttive UE.

Per il resto, in sintesi, la decisione,:

  • conferma l’annullamento, già avvenuto in primo grado, dell’art. 4 del D.M. circa il passaggio “automatico” in sezione ordinaria della startup cancellata dalla sezione speciale (che resta possibile solo per le startup costituite come s.r.l. tramite atto pubblico);
  • prende atto di taluni correttivi di dettaglio intervenuti tramite il DM 7.7.2016, relativamente al modello di atto costitutivo;
  • circa alle censure sulla corretta implementazione della normativa antiriciclaggio e agli obblighi fiscali relativi alla registrazione degli atti, conferma la inammissibilità delle censure del C.N.N.

Conseguenze

La decisione del Consiglio di Stato determina, a ben guardare, una vera e  propria emergenza normativa e regolamentare.

Infatti, in disparte la questione della alternatività atto pubblico/atto sottoscritto ex art. 24 C.A.D. (potenzialmente solo “formale”, e bypassabile semplicemente con una più chiara formulazione della disciplina regolamentare, ossia del D.M.), il Consiglio di Stato ha affermato un principio che chiama in causa direttamente il Legislatore, ossia quello per cui l’implementazione del modello semplificato ed alternativo alla costituzione per atto pubblico, di cui all’art. 4, co. 10-bis D.L. 3/2015, necessita una revisione a monte della disciplina (legislativa e non meramente regolamentare) dei poteri e delle competenze degli Uffici del registro.

In altri termini, anche se il giudizio ha avuto ad oggetto la fonte secondaria (il D.M.), il suo esito ha messo in luce le carenze della normativa primaria (il D.L. 3/2015). Carenze che, si osserva, sarebbe peraltro stato possibile colmare negli oltre quattro anni di pendenza del giudizio, così evitando un esito così traumatico e nefasto per il mondo delle startup.

Riprendendo le parole del Consiglio di Stato: il D.M. ha “illegittimamente ampliato l’ambito dei controlli dell’Ufficio del Registro dell’imprese, senza un’adeguata copertura legislativa che autorizzasse tale innovazione ( …); di conseguenza, alla luce della natura del controllo effettuato dall’Ufficio del Registro nel nostro ordinamento (…)” e ciò con “il concreto rischio di porsi in contrasto con la Direttiva” UE 2017/1132 e 2009/11/CE secondo cui  è possibile non prevedere la forma dell’atto pubblico solo laddove sia  previsto un controllo (sostanziale) preventivo, amministrativo o giudiziario. Controllo, quest’ultimo, non ritenuto dal Consiglio di Stato riconducibile ai poteri che, ad oggi, la disciplina primaria (L. n. 580/93 e D.P.R. n. 581/95) attribuisce agli Uffici del registro.

Serve una legge urgente

Condivisibile o meno che sia tale valutazione del Giudice (tema sul quale è inutile interrogarsi, atteso che la sentenza è inappellabile, provenendo dal Consiglio di Stato, giudice di ultima istanza nel sistema della giustizia amministrativa), ciò significa che il percorso per “rimettere in carreggiata” la costituzione delle startup innovative secondo il sistema semplificato ex art. 10, co. 4-bis D.L. 3/2015 impone l’intervento del Legislatore che dovrebbe, secondo le indicazioni del Consiglio di Stato, intervenire espressamente e direttamente sulle attribuzioni degli Uffici del registro, conferendo ai medesimi poteri di controllo sostanziali e non meramente “esteriori” o formali (così soddisfacendo il requisito del “controllo” amministrativo o giudiziale richiesto dalle Direttive UE).

In assenza di un siffatto intervento “a monte” (sulla normativa primaria), qualunque correttivo sulla disciplina regolamentare (normativa secondaria) apparirebbe come operazione potenzialmente inutile, se non addirittura illegittima per contrasto con la decisione del Consiglio di Stato.

Peraltro, occorre anche considerare, nella prospettiva di tale futuro intervento legislativo, che la Direttiva 2019/1151 UE, che dovrà essere recepita entro quest’anno – disciplinante “l’uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario” – prevede che qualora siano utilizzati  modelli per la costituzione on-line di società “l’obbligo di disporre degli atti costitutivi della società redatti e certificati in forma di atti pubblici qualora non sia previsto un controllo preventivo amministrativo o giudiziario, come previsto all’articolo 10, si considera soddisfatto”.

A rischio le attuali startup

Altro versante delle conseguenze che pone la decisione del Consiglio di Stato è quello della “serena operatività” delle startup fino ad oggi costituite in base al D.L. 3/2015 ed al D.M. 17.2.2016.

Infatti, se è vero che è difficilmente teorizzabile un travolgimento retroattivo ed automatico degli atti costitutivi (e degli statuti) di tali società, è altrettanto vero che il dubbio sollevato dal Consiglio di Stato circa la intrinseca conformità di tali atti rispetto alla disciplina delle Direttive europee è tale da poter determinare serie criticità operative. Il che potrebbe ad esempio spingere taluni operatori a convergere su un passaggio a “nuove costituzioni” prudenziali, con un davvero inutile (ed ingiusto) dispendio di risorse economiche.

Su tale aspetto sembra ancor più urgente un chiarificatore e “preventivo” intervento (legislativo e, nel frattempo, con idonei “atti di indirizzo” da parte del Ministero) d’urgenza che metta al riparo tali operatori economici da incertezze e difficoltà operative francamente inaccettabili, se non altro nella prospettiva del (più che) legittimo affidamento da essi riposto in una disciplina che aveva come finalità quella di “di favorire l’avvio di attività imprenditoriale”.

Ad oggi, dunque, per un paradossale effetto, a distanza di oltre quattro anni dalla sua entrata in vigore, la possibilità di costituire le startup innovative tramite atto sottoscritto ai sensi del C.A.D. – possibilità che l’Unione Europea chiede venga addirittura estesa alla generalità delle società (Direttiva del 2019) – è del tutto congelata in attesa di un nuovo intervento del Legislatore.

Ciò, si sottolinea, con la speranza che non si pervenga a traballanti soluzioni che prescindano dall’intervento sulla disciplina primaria, atteso che in tal caso un nuovo intervento della Giustizia amministrativa sarebbe a dir poco scontato.

Come sempre, specie quando possono venire in rilievo spinte conservatrici, è fondamentale che la semplificazione e la modernizzazione siano disciplinate con attenta scelta degli strumenti normativi, non “a compartimenti stagni”, ma con una visione di sistema, che conduca ad una revisione di tutti i corpus normativi interessati.