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Martedì, 10 Gennaio 2012 08:21

2012: e se invece fosse l'anno della svolta?


Ricapitoliamo. L’economia non tira, anzi per la verità è piuttosto a terra. L’occupazione cala e il lavoro rimane il problema principale, soprattutto al sud e per i giovani. La borsa e i mercati meglio lasciarli perdere.

Il Parlamento dal canto suo continua ad occuparsi più degli stipendi (propri s’intende) che del futuro del paese e i partiti sono quelli di sempre, che da decenni ci accompagnano in questo lento ed inesorabile declino.

Volgendo lo sguardo oltre confine, non è che le cose stiano molto meglio. Con gli Stati Uniti già in campagna elettorale e il tandem franco-tedesco che non sa che pesci prendere, il futuro dell’Europa e dell’euro è appeso ad un filo come mai prima d’ora.
Insomma, c’è poco da stare allegri. E infatti siamo tutti lì, con la paura di aprire il portafogli e di pensare a cosa potrà succedere domani. Non stupisce che le previsioni parlino di un anno, nella migliore delle ipotesi, “difficile”.

Però, complice il periodo favorevole ai buoni propositi, proviamo per una volta e guardare le cose da un altro punto di vista. Si dirà che l’ottimismo da solo non serve a niente. Ma è altrettanto vero che con il più cupo pessimismo non si va da nessuna parte.

Prima di tutto abbiamo un governo che, da qualunque angolazione lo si guardi, rappresenta senza ombra di dubbio il più grande segnale di discontinuità che il nostro paese potesse permettersi. Quel segnale chiesto a gran voce dall’opinione pubblica interna e internazionale, dall’Europa e dai mercati e che probabilmente pochi pensavano che l’Italia sarebbe stata in grado di offrire.

Secondo: è un governo tecnico, di emergenza e a termine. Che significa che 1) non ha vincoli elettorali di cui tenere conto; 2) ha un mandato chiaro e radicale e una maggioranza a conti fatti plebiscitaria, sebbene nel complesso piuttosto tiepida; 3) ha un orizzonte temporale definito e non prorogabile.
Sono condizioni che portano ad una sola strada: riforme.

E siamo al terzo e decisivo fattore: o si cambia ora o mai più. Perché le crisi almeno questo hanno di positivo, che pongono un paese di fronte ad un bivio. E quanto più è grave la crisi (e non c’è dubbio che quella che stiamo vivendo sia tra le peggiori che si ricordi), tanto più drammatiche sono le conseguenze se si sceglie la strada sbagliata.
Ovvio che lo stesso discorso vale per l’Europa. Anche a Bruxelles questo sarà l’anno delle grandi scelte: diventare finalmente una potenza solida e responsabile o continuare a farsi sballottare da una tempesta finanziaria all’altra.

Per questo è possibile che questo 2012 possa essere, nonostante tutto, un anno di svolta. Gli ostacoli sono insormontabili ma condizioni come quelle attuali non si ripeteranno. Che sia possibile lo dimostra il fatto che in tre settimane l’Italia sia riuscita a fare quella riforma delle pensioni sulla quale è caduto o ha rischiato di cadere più di un governo in passato e che, per quanto dolorosa e drammatica, era sotto molti aspetti inevitabile.
Con la stessa determinazione si potrà e dovrà intervenire sul mercato del lavoro, sulle liberalizzazioni, sulle infrastrutture, sulla spesa pubblica, sui costi della politica, sull'evasione fiscale. E, una volta imboccata la strada giusta, non c'è che l'imbarazzo della scelta: sanità, giustizia, fisco, assetto costituzionale, turismo, difesa. Sono riforme in grado di cambiare di molto l’aspetto di una nazione e che in Italia attendono al palo da anni. La differenza è che stavolta si devono fare per forza. Lavorare perché ci si riesca non è solo una questione di buone intenzioni ma di convenienza (se non di sopravvivenza) per tutti.